Letteratura e Giornalismo Sportivo - Calcio - Serie A - Serie B - Lega Pro - Serie D - Letteratura sportiva - Libri - Gianni Brera Letteratura e Giornalismo sportivo Letteratura e Giornalismo Sportivo - Calcio - Serie A - Serie B - Lega Pro - Serie D - Letteratura sportiva - Libri

domenica 26 marzo 2017

Calvino e Pasolini, lo sport indossa la letteratura

Rimangono indelebili le immagini più suggestive dei numerosi appuntamenti dell'Overtime Festival. Tra essi, le fortunate alleanze tra sport ed arte che hanno eletto protagonisti insigni cronisti sportivi alle prese con il multiforme mondo della letteratura. Giornalisti che, con le loro penne, cercano di vestire lo sport attraverso le pregiate vesti del racconto o del romanzo. Discepoli di giganti della scrittura che, per alterne vie, hanno precorso l’attuale, intasato tratto di connessione tra sport e letteratura italiana.

La memoria attinge alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, con una spedizione tricolore già vincente per la presenza, tra i cronisti nazionali, dell’immenso Italo Calvino. Per il narratore cubano-sanremese agli esordi, non si trattò del primo contatto con il filone sportivo. Già in precedenza, Calvino aveva avuto modo di tangere l’argomento, interessandosi dell’ “appropriazione” delle imprese sportive del campione ciclista Gino Bartali da parte della Chiesa, a fine propaganda. Inoltre, il fine autore de “Se una notte d’inverno un viaggiatore” si era già confrontato con il “pianeta” calcio attraverso una sua personalissima cronaca di Italia-Inghilterra del 1948, dalla quale aveva ricavato l’articolo “La partita che non ho visto“, compendio di tutte le attività umane gravitanti attorno allo stadio nel corso della gara. Calvino arrivò in Finlandia da inviato del quotidiano “L’Unità”, probabilmente costretto dal proprio direttore. Lì diede saggio delle sue abilità, presentando al pubblico atleti poco noti ma di caratura mondiale, come il campione finlandese del mezzofondo Paavo Nurmi, alle prese con l’accensione del braciere olimpico, e il marciatore italiano Giuseppe Dordoni. Calvino consegnò ai lettori de L’Unità uno sguardo nuovo sulle Olimpiadi, ma Helsinki 1952 fu fondamentale soprattutto per un altro motivo, strettamente aderente al percorso letterario dello scrittore. Forse proprio in Finlandia, infatti, avvenne il definitivo scollamento con la mera figura del giornalista e la conseguente virata sulla funzione di scrittore, fortemente caldeggiata dall’editore Einaudi.

Assolutamente contrapposto l’approccio con il contesto sportivo di Pier Paolo Pasolini. Lo scenario è sempre quello olimpico, il teatro, non ancora congestionato dalla globalizzazione, quello della Roma del 1960. Pasolini sta esordendo alla regia cinematografica con “Accattone“, ma certamente non lascia orfana quella penna che molteplici, sovversive emozioni sa tracciare, soprattutto per una consistente fetta d’Italia ancora diversamente educata. La corrispondenza dai luoghi olimpici per “Vie Nuove“, settimanale sinistrorso di ampio respiro intellettuale, è una delizia per un appassionato sportivo come Pier Paolo. Naturalmente, la rubrica di dialogo coi lettori imbastita è provocatoria per definizione, come si conviene all’indole dell’artista bolognese. Pasolini incalza sulle colonne della rivista, demolendo una propaganda olimpica che presentava l’evento come foriero di nuova occupazione per i cittadini.

giovedì 23 febbraio 2017

Leicester, Ranieri esonerato: Re Claudio paga la crisi

La favola del Leicester è già finita. La dirigenza delle Foxes ha deciso a sorpresa l'esonero di Claudio Ranieri, il tecnico protagonista della fantastica cavalcata della scorsa stagione in cui ha condotto una squadra di provincia alla vittoria della Premier per la prima volta nella sua storia. Tutto ciò non è bastato a salvare quello che fino a pochi mesi fa era soprannominato in Inghilterra come "Re Claudio": il tecnico italiano paga per tutti i risultati negativi degli ultimi mesi in Premier, dove la squadra è stata risucchiata nella lotta per non retrocedere in Championship, e l'eliminazione dalla FA Cup. Appena ieri, il Leicester era uscito a testa altissima dalla sfida di andata degli ottavi di Champions, sconfitto 2-1 in casa del Siviglia. Appena il 7 febbraio scorso, nel pieno di una situazione diventata pesantissima e con un'aria divenuta ormai irrespirabile nello spogliatoio (dove si era creata una fronda di giocatori che hanno spinto per il licenziamento del tecnico), la proprietà del Leicester aveva deciso di blindare la posizione di Ranieri fino al punto di pubblicare un comunicato nel quale forniva "appoggio incondizionato" al tecnico. Quindici giorni dopo, è arrivato l'esonero. Escono di scena anche i collaboratori del tecnico romano, Paolo Benetti e Andrea Azzalin, licenziati. Quel che è certo è che questa storia, questa incantevole e romantica favola, non doveva finire così. Avrebbe meritato indubbiamente un finale migliore.

Good luck Sir Claudio.

lunedì 20 febbraio 2017

La coppa del Lincoln City

L’impresa del Lincoln City ci ricorda una volta di più che nel calcio inglese di oggi soltanto la FA Cup è in grado di regalare le emozioni che potremmo definire di ‘una volta’, in attesa dell’ottavo di finale fra il Sutton United e un Arsenal di Wenger ancora sotto shock per il disastro di Champions League contro il Bayern Monaco. Quello del Lincoln City sarebbe stato un miracolo anche per i parametri del calcio inglese ‘britannico’ che tutti abbiamo amato e che unito ad altri fattori (gli inglesi a suo tempo colonizzarono mezzo mondo, l’Italia fuori tempo Etiopia e Libia) ha dato alla Premier League di oggi un vantaggio competitivo incolmabile. Gli Imps (letteralmente ‘Chimere’, nell’accezione architettonica del termine) allenati da Danny Cowley sono diventati la prima squadra cosiddetta ‘non-league’ (dire dilettantistica è improprio, comunque sono al quinto livello del calcio inglese) a raggiungere i quarti di FA Cup da 103 anni a questa parte, da quando nel 1914 l’impresa riuscì all’allora semisconosciuto Queens Park Rangers. Merito dell’impresa compiuta sul Burnley e della goal-line technology che ha tolto ogni dubbio sul gol di Sean Raggett. Impresa nell’impresa è avere battuto, per arrivare fino a questo punto, ben quattro squadre delle categorie superiori, cosa non così scontata visto che il sorteggio integrale può a volte regalare colpi di fortuna. Infatti se il Sutton United farà il miracolo con l’Arsenal, e sarebbe un miracolo superiore a quello di sabato, si troverebbe nei quarti proprio il Lincoln City mentre in un altro quarto si sfideranno Chelsea e Manchester United. Ma qui siamo oltre la retorica della piccola squadra che va oltre i propri limiti. Siamo alla contrapposizione di un certa idea di calcio britannico, basata sull’appartenenza territoriale e culturale (nessun tifoso del Lincoln City si sentirebbe in dovere di precisare che la sua seconda squadra è l’Arsenal o il Liverpool, come invece spesso avviene da noi per Juventus, Inter e Milan), contrapposta a macchine da guerra del marketing sportivo che hanno come orizzonte il mondo. Non è una banale contrapposizione fra tifoso e dirigente, che necessariamente hanno visioni differenti, ma fra due tipi di tifosi. Stadio contro Playstation (sia pure vissuta allo stadio), per semplificare in maniera estrema, anche se le proporzioni vanno sempre ricordate: Lincoln e dintorni hanno circa 130.000 residenti e lo stadio dove il Lincoln City gioca, fra varie ristrutturazioni, dal 1895 ha una capienza (10.120 spettatori) e una qualità che lo porrebbe all’avanguardia nella nostra serie B. Per tanti aspetti fa più impressione il Chievo.

sabato 18 febbraio 2017

Zeman e Pescara, certi amori non finiscono

Per quasi mezzo campionato sulla panchina del Pescara, mettendo la sua faccia su una retrocessione sicura, Zdenek Zeman guadagnerà meno di un tronista chiamato all’Isola dei Famosi. Certo, con Sebastiani c’è un accordo anche per l’anno prossimo sulla base di mezzo milione di euro, ma quarant’anni di storia insegnano che l’allenatore boemo dai contratti quasi sempre annuali ha spesso lasciato di sua volontà anche situazioni comode, come tutto sommato è questa di Pescara, dove la tifoseria lo considera alla stregua di una divinità. Non soltanto per la stagione 2011-12, in cui conquistò la serie A lanciando Immobile, Insigne e Verratti, e nemmeno per il 4-3-3 che con i giocatori giusti sanno praticare tutti i tecnici professionisti del pianeta, ma per l’immagine di pulizia che da sempre accompagna Zeman. Immagine che manda letteralmente fuori di testa i teorizzatori del ‘vincere è l’unica cosa che conta’, che albergano in alcune tifoserie e anche nello stesso Pescara: diversamente Oddo non sarebbe stato linciato, dopo avere fatto il possibile con una rosa dalla cilindrata da B. Zeman è un allenatore superato? Non ci sembra: a volte ha fallito (fra le varie esperienze negative le peggiori, in proporzione al valore della rosa, quella con il Napoli e quella del ritorno alla Roma), ma adesso che ha quasi 70 anni è reduce da una stagione quasi miracolosa con una squadra modesta come il Lugano. Lui per primo è consapevole di essere da quasi vent’anni più un’icona che un allenatore, dai tempi di quella intervista all’Espresso in cui considerazioni generiche (“Il calcio deve uscire dalle farmacie”), riguardanti molte squadre (infatti le inchieste coinvolsero mezza serie A), dal punto di vista mediatico lo trasformarono in accusatore della Juventus. Con tutto quel che ne consegue in termini di metro di giudizio di giornalisti e addetti ai lavori tenenti famiglia. Questo non toglie che la quantità di giovani presi dal nulla e lanciati nel grandi calcio sia impressionante e che quasi tutti quelli che hanno lavorato con lui lo rimpiangano. Intanto i suoi allenamenti al Poggio degli Ulivi adesso avranno più spettatori di quelli delle prime dieci squadre della classifica, qualcosa vorrà dire. Non è un santo e non può resuscitare i morti come il Pescara attuale, ma non si deve vergognare della sua faccia. Èd è per questo che la sua storia non è ancora finita.

giovedì 16 febbraio 2017

I libri del mese di Febbraio 2016

Avete scritto un libro sportivo e volete pubblicizzarlo? Segnalatecelo nel form dei "contatti", sarà pubblicata la sua scheda nel prossimo mese.

1) LA VERSIONE DI GIPO

La versione di Gipo
Alberto Facchinetti
Editore: InContropiede
Collana: Sudamericana
Anno edizione: 2016
Pagine: 186 p. , Brossura
EAN: 9788899526085

Il calcio italiano deve molto a Gipo Viani. Gli deve l'idea di aver cominciato a pensare in grande, di essere passato all'organizzazione manageriale, di aver creato sistemi di gioco e nuove figure dirigenziali. Gipo Viani è lo spartiacque tra il calcio italiano provinciale e quello padrone d'Europa degli anni Sessanta. Alberto Facchinetti segue Viani passo per passo, lo descrive come calciatore di sicuro mestiere, poi come allenatore vincente e direttore sportivo che guarda lontano. Gli crea un alter ego al quale Viani racconta brandelli di una vita sempre al limite e rende omaggio a Giorgio Lago, il più grande giornalista sportivo espresso dal Veneto. Il Gipo Viani di Facchinetti è un personaggio che unisce l'istrionismo e la freddezza di Mourinho, l'abilità affaristica di Moggi e la sfrontatezza mondana di Bobo Vieri. È stato tutti e tre insieme. È stato molto di più.


2) AVEVA UN VOLTO BIANCO E TIRATO

Aveva un volto bianco e tirato. Il caso Re Cecconi
Guy Chiappaventi

Editore: Tunué
Collana: Traguardi
Anno edizione: 2016
Pagine: 143 p. , ill. , Rilegato
EAN: 9788867902064

Il 18 gennaio del 1977 a Roma muore Luciano Re Cecconi, centrocampista della Lazio e della nazionale. Muore per via del colpo di pistola sparato da Bruno Tabocchini, un orafo della capitale. Muore perché - raccontano - stava fingendo un furto proprio in quella gioielleria, e aveva fatto irruzione gridando: "Fermi tutti, questa è una rapina!". Ma il caso non è affatto chiaro, e le testimonianze restano contrastanti. Il giornalista Guy Chiappaventi, facendo larghissimo riferimento a un immaginario filmico preesistente e un citazionismo che tira in ballo il poliziottesco e il giallo, tipici di quegli anni, si muove tra romanzo e inchiesta per ricostruire, attraverso un famoso fatto di cronaca, tutta un'epoca italiana.



                    3) FILADELFIA. STORIA DI UN TERRITORIO E DEL SUO STADIO

Filadelfia. Storia di un territorio e del suo stadio
Vincenzo Savasta, Fabrizio Turco

Editore: Bradipolibri
Anno edizione: 2016
Pagine: , Brossura
EAN: 9788899146276

Il Filadelfia. Più che uno stadio, il tempio. Più di un tempio, la “Casa”.
Ma prima del Fila cosa c’era? E chi l’ha ideato? Costruito? Finanziato?
Questo libro vuol far rivivere i protagonisti per raccontare le origini, e poi fermarsi calcisticamente all’inaugurazione avvenuta il 17 ottobre 1926, con il resoconto di un pomeriggio diventato storico. Raccontare, però, vuol anche dire descrivere il quartiere, il territorio, le comunità di immigrati e operai che hanno fatto la storia della Torino industriale di inizio Novecento. Perché Torino, città che – comunque la si voglia vedere – non ha eguali, talvolta dimentica con troppa facilità ciò che fa di buono sminuendone i contenuti e l’importanza.


                                              4) QUANDO IL CINEMA FA GOAL

Quando il cinema fa goal. I cento film più belli del calcio
Ignazio Senatore

Editore: Absolutely Free
Collana: Sport.doc
Anno edizione: 2016
Pagine: 357 p. , ill. , Brossura
EAN: 9788868580940

Cento film sul mondo del calcio, prodotti di diverse cinematografie: dagli anni Trenta ai nostri giorni. Diretti da Maestri del cinema o da onesti artigiani della macchina da presa. Hanno come oggetto la rappresentazione sullo schermo di calciatori, calciatrici, allenatori, arbitri, talent scout e tifosi e spaziano dalle commedie all'horror, dal sentimentale al drammatico, dal documentario al cinema d'animazione. All'interno ci sono Febbre a 90°, Fuga per la vittoria, Sognando Beckham, L'allenatore nel pallone e altri 96 titoli... Il lettore incontrerà calciatori famosi (lo stesso Maradona, Best, Zidane, Totti, Zico, Pelè), attori prestigiosi (Totò, Mastroianni, Sordi, Manfredi), comici irresistibili (Abatantuono, Bisio, Villaggio, De Sica, Vitali, Banfi, Franchi e Ingrassia), stelle del cinema internazionale (Stallone, Fernandel, Depardieu, Firth), attrici dal grande fascino (Sofia Loren, Uma Thurman, Catherine Zeta-Jones), noti commentatori sportivi (Biscardi, Valenti, Mattioli, Galeazzi). L'opera, per ogni singolo film, offre una scheda tecnica, le frasi cult, la trama e il commento critico. Un volume rivolto tanto agli appassionati di cinema quanto agli amanti dello calcio. 

Il ritorno della Champions e l’ipotesi-Superlega

Torna la Champions League, nella sua appassionante versione a scontri diretti, ma saltuariamente si ripropone l’argomento dell’Eurolega del calcio (o Superlega o come preferite voi). 
L’idea di pensare a un torneo continentale “stile Nba” con le 20 squadre top d’Europa a sfidarsi in un campionato che si porrebbe al di sopra delle leghe nazionali è un qualcosa di cui, più in maniera fumosa che concreta, si parla da anni. 
Le big d’Europa, tra le quali rientrerebbero anche Inter e Milan, da anni fuori dall’élite del calcio continentale, pensano e propongono, minacciano e fantasticano. Però, al dunque, il progetto non viene mai messo nero su bianco: non uno straccio di schema su come organizzarla, né logisticamente e neanche fattivamente. 
E allora, accantonando la teoria statunitense della “Lega chiusa” senza promozioni e retrocessioni, proviamo a ipotizzare come potrebbe svilupparsi la Superlega europea tanto agognata, desiderata e pensata.

Numero di squadre: 20
Se dev’essere un campionato, è improbabile pensare ad un numero maggiore di squadre impegnate nel torneo.

Come selezionarle all’inizio
3 per Inghilterra, Italia, Spagna, Germania
2 per Francia e Portogallo
4 squadre da playoff tra squadre campioni di altri Paesi

Il metodo dovrebbe essere meritocratico: si dovrebbe seguire l’ordine di classifica dei campionati nazionali dell’ultima stagione giocata.

Lo svolgimento
Andata e ritorno, classico girone all’italiana. Se proprio si vuol pensare a qualcosa di “Stile Nba” si potrebbe pensare a dei playoff tra le prima 4 o 8 per la conquista del titolo.

Il sistema promozioni/retrocessioni
Detto di come selezionare le squadre per la prima annata, dal momento dell’inizio della Superlega, dovrebbe essere inserito un sistema di promozioni e retrocessioni per garantire la meritocrazia sportiva.
Ogni stagione, la peggiore di ogni nazione dovrebbe “retrocedere” nel proprio campionato d’appartenenza, lasciando spazio a chi, intanto, avrebbe vinto il torneo nazionale (es.: Liverpool peggiore delle inglesi, lascia spazio all’Arsenal vincitore della Premier League). 
Per quanto riguarda le 4 squadre arrivate dai playoff, le ultime due tornano nei rispettivi campionati, lasciando spazio a due squadre che si qualificherebbero mediante proprio il sistema dei preliminari con altre compagini.

Così pensato, il sistema garantirebbe un campionato sicuramente di altissimo livello e permetterebbe di lasciare elevata la qualità dei tornei nazionali, visto che vincerli garantirebbe l’accesso alla Superlega (o al preliminare per i campionati meno blasonati).
Lega chiusa sì, ma con criterio: se proprio la si vuol organizzare, non si depredi totalmente il calcio e la mentalità europea.

Mawson e la scomparsa dei gol inglesi

Un solo gol inglese in un intero fine settimana di Premier League, in un turno che si completerà stasera con Bournemouth-Manchester City. La cosa grave è che non ci avremmo nemmeno fatto caso se la BBC, di certo non sospettabile di ipernazionalismo (anzi, di solito è criticata per i motivi opposti) non avesse dato una minima evidenza a questa statistica davvero clamorosa. Comunque in 9 partite l’unico gol inglese sui 19 segnati è arrivato da Alfie Mawson, centrale difensivo dello Swansea City, nella porta del Leicester City di Ranieri. Un buon giocatore, Mawson, arrivato l’estate scorsa dal Barnsley per 6,5 milioni di euro, un difensore che fra l’altro è in zona gol più pericoloso di molti attaccanti: non è difficile, considerando i 23 anni, ipotizzare una qualche chance di nazionale in futuro (non ci sembra peggio del più reclamizzato Stones). Va poi detto che in Inghilterra le punte di valore non mancano: da Kane a Rooney, passando per Carroll, Alli, Rashford, eccetera. Questa scarsità di gol inglesi dipende quindi in parte da situazioni specifiche (Rooney ad esempio sabato era in panchina e chi non gioca non può segnare) di infortuni e di rapporti con l’allenatore, ma questo non toglie che la Premier League stia perdendo la sua anima anche se in pochi lo fanno notare. Il rilevatore più veritiero, si dice sempre, sarebbe quello delle presenze allo stadio: 35.894 finora di media, tante in proporzione alla serie A, ma meno delle 36.452 dello scorso campionato e delle 36.176 del 2014-15, per non parlare delle 36.631 del 2013-14. Per trovare un’affluenza media inferiore bisogna risalire a cinque stagioni fa, quando già tutte le grandi realizzavano dei ‘tutto esaurito’ fissi. Ma sono ragionamenti un po’ forzati, perché ad esempio la perdita del Newcastle, retrocesso in Championship, quasi da sola si è mangiata la differenza. Come a dire: agli inglesi la Premier League per il momento continua a piacere, la cosiddetta inglesità è più un problema di Southgate e di chi (come noi, gettiamo la maschera) si è appassionato al calcio inglese quando rappresentava quasi alla perfezione una certa anima popolare britannica e non una pseudo NBA (diciamo pseudo perché i migliori veri giocano in Real Madrid e Barcellona) del calcio.